“La continuità nel nuovo” di Federico Sardella, 2017

In occasione di questa seconda mostra di opere di Antonella Zazzera nello spazio di Giuliano Papalini e Nunzia Palma, l’artista presenta otto sculture realizzate nel corso di questo anno, concepite appositamente e, come da sempre va facendo, pensate in funzione degli spazi nelle quali saranno mostrate, calibrando sia i momenti di pausa che separano le une dalle altre sia i possibili accostamenti e attimi di aggregazione. Nell’ormai nutrita bibliografia relativa al suo lavoro, della quale nelle facciate successive si potrà trovare un parziale riscontro, in molti hanno riferito di come le sculture di Antonella Zazzera, pur caratterizzate da una evidente tridimensionalità non hanno nulla a che fare con la classica statuaria a tutto tondo. Si tratta, infatti, di gruppi scultorei le cui caratteristiche fatturali le portano a situarsi nell’ambito del rilievo; o dell’altorilievo… Sculture da parete, in linea di massima. Con le dovute eccezioni: basti pensare ai grandissimi Armonici che appesi al muro proseguono oltre e curvandosi si estendono al suolo, oppure a quelle opere, parte della medesima serie, espressamente costruite per essere mostrate a terra, sul pavimento come sull’erba, senza il bisogno di alcuna base, sia all’interno sia all’esterno, dove, nello specifico, la luce naturale rende le superfici infuocate, vibratili e intente a variazioni continue, nel colore e negli andamenti. Se il materiale che l’artista adopera in via quasi esclusiva rende possibile queste cangianze superficiali particolarissime che smaterializzano il lavoro sino a renderlo un miraggio di sé, o una immagine di luce, il suo peso specifico evidente è annientato, appunto, dalla luce… dal peso stesso della luce, che si fa sentire nel profondo della scultura. L’opera è così anche esperienza, comunque evento irripetibile, che si paleserà sempre diversamente, nei diversi momenti di irradiazione, che comportano una gamma infinita di possibilità tonali, permettendo a chi guarda di accarezzare superfici variegate e ricche di scoperte, pregne del sentimento dell’oscurità, pervase dalla ponderosa levità della luce.
La scelta del rilievo presuppone anche una inevitabile valutazione da parte dell’artista circa le possibilità di visione dell’opera, specialmente se particolarmente aggettante, tanto che Antonella, nel momento stesso in cui termina un lavoro e lo documenta fotograficamente, attraverso il taglio che dà all’immagine suggerisce un punto di vista favorito. Anche l’unica opera in mostra collocata su un piedistallo: Naturalia 57A17, realizzata con fili di alluminio smaltato, posto che sia consentito girargli attorno, tale possibilità è spesso tolta al fruitore. Non è da trascurare infatti la scelta espositiva operata in passato di mostrare opere analoghe appese al muro… Detto questo, visto l’evidente rapporto con la parete che hanno le sculture di Antonella Zazzera, considerato l’aspetto pittorico che increspando esplode in segni e tracce sulle superfici delle opere e preso atto della titolazione data ai più recenti elaborati, non posso fare a meno di domandare il perché di questo “ritorno alla pittura”.

Antonella Zazzera: Nel 2015 ho terminato un lavoro, l’Armonico C/S CCXLIII, la cui trama ha un aspetto maggiormente pittorico rispetto ai precedenti, e dove la componente segnica è molto forte. Per fuggire dall’idea di uno spazio netto e preciso, in favore di un luogo aperto, dai margini indefiniti, la parte superiore e quella inferiore sono leggermente sfrangiate, quasi avessi volto rendere meno definito possibile parte del perimetro dell’opera.

Federico Sardella: In netto contrasto con questa parziale assenza di definizione dell’orlo dell’opera, il disegno che differenzia la superficie è, invece, molto definito.

A.Z.: Tanti fili diversi, di toni differenti, dal chiaro allo scuro, determinano dei campi di forze. Ho impiegato diversi anni per terminare quest’opera, che ho iniziato nel 2009 e concluso, come ti ho detto, nel 2015.

F.S.: Questa scultura è dotata di spessore, ma diversamente da come spesso ti comporti, non è curvata, nemmeno leggermente ai margini. Ha l’aspetto di un “quadro”, e mi pare di cogliere una forte affinità strutturale, come da titolo, con le tue CarteScultura in fili di rame e cellulosa.

A.Z.: I lavori conseguenti all’Armonico C/S CCXLIII ho deciso di chiamarli, non a caso, Quadri. Si tratta di opere sedimentate a lungo, e a lungo meditate. Dal momento in cui ho iniziato questo lavoro, nato dagli Armonici, negli anni che ho impiegato per terminarlo, hanno preso forma le CarteScultura. Definita questa esperienza, nasce il Quadro… come le CarteScultura, anche questi lavori possono essere di tipologia geometrica, là dove la struttura è netta e verificabile, o libera, quando il tutto è chiaramente meno rettilineo. Per me, una ulteriore conferma di come si possa fare scultura approfondendo la parte più pittorica dei materiali.

F.S.: Mi hai più volte raccontato di come il tuo procedere nasca in ambito pittorico. Le tue prime esperienze sono legate infatti alla pittura e al disegno, i tuoi riferimenti sono spesso pittori… I Quadri, questa nuovissima serie di opere, sono così una ulteriore convalida a proposito della circolarità del tuo lavoro. Sono pezzi molto impegnativi, che vanno realizzati con le dovute accortezze: impostati, lasciati sedimentare, ripresi e poi ancora ripresi nel tempo lungo e dilatabile che distingue il loro svolgersi. Come la pittura, necessitano della stesura di un fondo omogeneo, sul quale poi si aggiungono metri e metri fili di rame, senza che mai questi si intreccino. Il ponderato processo di sedimentazione che genera l’opera, che gli dà corpo e spessore, prevede che l’andamento dei filamenti abbia una dominanza di verticali, interrotte e strumentalizzate dal disegno finale.

A.Z.: Il fondo dal quale parto è sempre omogeneo, come si trattasse di una tela bianca, sia per i Quadri di tipologia Geometrica sia per quelli di tipologia Libera. Poi, partendo da questa condizione di neutralità, costruisco il disegno che andrà a determinare l’andamento e la tipologia dell’opera, che è poi lo stesso disegno dato da fasci di segni e di luce che descrive le CarteScultura. Le cuciture, che fermano i fili, rispettano la loro direzione e bloccano l’attimo in cui l’opera viene considerata conclusa, per essere poi sovrastate, quasi annullate dalla luce che andrà a vivificare i singoli fili e l’intera superficie.

Questi nuovissimi lavori rendono palpabile quella innegabile, spessa, limpida coltre pittorica che, sin dagli esordi, sin dalla costruzione delle tue prime sculture in fili di rame, governa le superfici di tutte le opere. Anche là dove aggettanze e sinuosità rendono la forma dell’opera la componente più eclatante, è invece nella superficie che, in realtà, si celano le profonde differenze fra opera e opera. Spesso nelle opere è proprio il trattamento della superficie che varia: pittura e scultura vivono assieme. Anche gli Armonici differiscono radicalmente gli uni dagli altri, pur avendo delle forme, tutto sommato, il più delle volte simili. Anche se le forme possono somigliarsi, il disegno cambia sempre. Diversamente dagli Armonici, la cui foggia sinuosa e accattivante distrae dal disegno, nei Quadri, avendo ridotto la forma ad un campo, rinunciando a evoluzioni e curve, Antonella Zazzera mette in evidenza tutto quello che sta dentro l’opera, la sua superficie e quella che lei stessa descrive come campitura pittorica.

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