“L’impalpabile leggerezza dell’essere di Antonella Zazzera” di Floriano De Santi, 2006

La presenza delle figure archetipiche e delle fonti primarie dell’arte, fra fisico e metafisico, visibile e invisibile, sembra caratterizzare la Stimmung creativa di Antonella Zazzera. I suoi lavori “ambientali” sono spartiti scenici su cifre ironiche tridimensionali, esercizi inconsci ed intuitivi di calcolo empirico, in cui l’esecuzione non è che la traduzione tattile di processi concettuali, che confermano la continua rigenerazione nel tempo e nello spazio di eventi che ricercano – senza ridursi a uno stilema minimale – un novum organum poetico. È l’idea che informa e dà significato ai suoi fili di rame, ed è sul pensiero o concetto che la giovane artista umbra progetta opere come Armonico I del 2004 e come Armonico V dell’anno seguente, tendendo a svuotare il più possibile i mezzi espressivi della loro materialità.
Una simile concezione dell’intangibilità del fenomeno volumetrico conduce la Zazzera a considerare l’opera plastica come un insieme costituente unità autonome, che manifestano una solidarietà interna e che possiedono leggi proprie. In tal senso le sue tessiture di metallo si pongono come entità autodeterminantesi, condizionale solo dai rapporti interni e dagli elementi che le regolano. Al pari della musica dodecafonica di Schonberg, la più slegata da una relazione diretta con il “rappresentato armonico” del linguaggio, questo suo “fare scultura” offre sempre insiemi di entità separate, ma non separabili che si differenziano e si delimitano reciprocamente a costituire un tutto indivisibile. Essendo le entità interagenti, i rapporti sono multipli e dinamici ed ogni work in progress non è mai chiuso, perché mette continuamente in dialogo il vuoto e il pieno, l’io e l’altro, il soggettivo e l’oggettivo, come impalpabile leggerezza dell’essere.

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La presenza delle figure archetipiche e delle fonti primarie dell’arte, fra fisico e metafisico, visibile e invisibile, sembra caratterizzare la Stimmung creativa di Antonella Zazzera. I suoi lavori “ambientali” sono spartiti scenici su cifre ironiche tridimensionali, esercizi inconsci ed intuitivi di calcolo empirico, in cui l’esecuzione non è che la traduzione tattile di processi concettuali, che confermano la continua rigenerazione nel tempo e nello spazio di eventi che ricercano – senza ridursi a uno stilema minimale – un novum organum poetico. È l’idea che informa e dà significato ai suoi fili di rame, ed è sul pensiero o concetto che la giovane artista umbra progetta opere come Armonico I del 2004 e come Armonico V dell’anno seguente, tendendo a svuotare il più possibile i mezzi espressivi della loro materialità.
Una simile concezione dell’intangibilità del fenomeno volumetrico conduce la Zazzera a considerare l’opera plastica come un insieme costituente unità autonome, che manifestano una solidarietà interna e che possiedono leggi proprie. In tal senso le sue tessiture di metallo si pongono come entità autodeterminantesi, condizionale solo dai rapporti interni e dagli elementi che le regolano. Al pari della musica dodecafonica di Schonberg, la più slegata da una relazione diretta con il “rappresentato armonico” del linguaggio, questo suo “fare scultura” offre sempre insiemi di entità separate, ma non separabili che si differenziano e si delimitano reciprocamente a costituire un tutto indivisibile. Essendo le entità interagenti, i rapporti sono multipli e dinamici ed ogni work in progress non è mai chiuso, perché mette continuamente in dialogo il vuoto e il pieno, l’io e l’altro, il soggettivo e l’oggettivo, come impalpabile leggerezza dell’essere.

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