“Nidi” di Melina Mulas, 2014
Queste fotografie raccontano un’intera giornata passata con Antonella Zazzera, della sua casa studio e dei suoi selezionatissimi oggetti, dei nidi con i fili di rame che gli uccelli mamme hanno raccolto da terra, trovati nei boschi e conservati come opera d’arte.
Del rapporto profondo, tacito accordo, con il nonno che l’aiuta nella preparazione dei telai, e la osserva lavorare, con lo stesso rigore e la stessa pace che ho sentito in certi monasteri tibetani. Narrano del porticato di casa mentre lei tesse le sue tele di Penelope contemporanea. Mentre suo padre si occupa della terra e sua madre di tutta la famiglia; ogni cosa è ordinata e il cibo è squisito. E poi, raccontano del pomeriggio, quando, un pezzo alla volta, Antonella mi ha presentato il suo mondo di natura e di campagna. Camminando ed osservando tutto quello che ci circondava – “Guarda l’impulso di questi rami”, oppure, “il girasole bisogna toccarlo per conoscerlo”… – mi indicava come a seguire una traccia, un po’ come quella di Pollicino, le forme, le orme, i colori, o la semplice rete di un magazzino, così come la crepa di un sentiero spaccato dal caldo, o i segni di un trattore impressi nella terra. Spiegandomi che solo dopo aver concepito e creato un’opera, ne ritrova a posteriori le tracce negli elementi che la circondano.
Io ho cercato di seguirla fotografando tutto quello che mi mostrava. Come se la macchina non fosse altro che un taccuino di appunti, quelli che si prendono, in fretta, quando si deve ricordare e trascrivere una lezione preziosa e irripetibile.
Non avevo previsto di fare un lavoro così, quel giorno ero andata per conoscere meglio Antonella e il suo mondo. Pensavo che sarei ritornata, per fare le cose per bene, ma come spesso succede, non succede…
Queste sono solo una piccola parte delle foto di quella giornata, e hanno tutta una loro didascalia invisibile. Forse posso vederla solo io. Potrebbe essere un gioco, provare ad immaginare Antonella che cammina vicino a me e che mi indica cosa fotografare con l’ammirazione ancora intatta, di chi vede per la prima volta e osserva con occhi incantati il paesaggio in cui è nata, cresciuta e dove vive.
Queste fotografie raccontano un’intera giornata passata con Antonella Zazzera, della sua casa studio e dei suoi selezionatissimi oggetti, dei nidi con i fili di rame che gli uccelli mamme hanno raccolto da terra, trovati nei boschi e conservati come opera d’arte.
Del rapporto profondo, tacito accordo, con il nonno che l’aiuta nella preparazione dei telai, e la osserva lavorare, con lo stesso rigore e la stessa pace che ho sentito in certi monasteri tibetani. Narrano del porticato di casa mentre lei tesse le sue tele di Penelope contemporanea. Mentre suo padre si occupa della terra e sua madre di tutta la famiglia; ogni cosa è ordinata e il cibo è squisito. E poi, raccontano del pomeriggio, quando, un pezzo alla volta, Antonella mi ha presentato il suo mondo di natura e di campagna. Camminando ed osservando tutto quello che ci circondava – “Guarda l’impulso di questi rami”, oppure, “il girasole bisogna toccarlo per conoscerlo”… – mi indicava come a seguire una traccia, un po’ come quella di Pollicino, le forme, le orme, i colori, o la semplice rete di un magazzino, così come la crepa di un sentiero spaccato dal caldo, o i segni di un trattore impressi nella terra. Spiegandomi che solo dopo aver concepito e creato un’opera, ne ritrova a posteriori le tracce negli elementi che la circondano.
Io ho cercato di seguirla fotografando tutto quello che mi mostrava. Come se la macchina non fosse altro che un taccuino di appunti, quelli che si prendono, in fretta, quando si deve ricordare e trascrivere una lezione preziosa e irripetibile.
Non avevo previsto di fare un lavoro così, quel giorno ero andata per conoscere meglio Antonella e il suo mondo. Pensavo che sarei ritornata, per fare le cose per bene, ma come spesso succede, non succede…
Queste sono solo una piccola parte delle foto di quella giornata, e hanno tutta una loro didascalia invisibile. Forse posso vederla solo io. Potrebbe essere un gioco, provare ad immaginare Antonella che cammina vicino a me e che mi indica cosa fotografare con l’ammirazione ancora intatta, di chi vede per la prima volta e osserva con occhi incantati il paesaggio in cui è nata, cresciuta e dove vive.